
Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha annunciato il 2 aprile 2025 l’imposizione di nuovi dazi sulle importazioni, come riportato dal Guardian, riaccendendo un nervo scoperto per il mondo della tecnologia.
In particolare, ha rimesso sotto i riflettori Apple, la cui catena produttiva è notoriamente radicata in Asia e il cui mercato di riferimento resta saldamente ancorato agli Stati Uniti e all’Europa. Se da una parte l’impatto si è fatto subito sentire sul titolo AAPL, con un calo visibile nel corso della giornata, dall’altra l’interrogativo più pressante è un altro: cosa accadrà alle vendite e ai margini di Apple nei mercati chiave, ora che queste tariffe sono diventate realtà?
Non è la prima volta che Trump impone dazi che colpiscono indirettamente (e a volte direttamente) Cupertino. Ma a differenza del passato, l’attuale scenario globale è molto più fragile: l’inflazione è tornata a farsi sentire, i tassi sono ancora alti, e i consumatori non sono più disposti a spendere a cuor leggero oltre 1.000 euro per uno smartphone.
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Le nuove tariffe: 10% su tutto, con eccezioni pesanti
Il piano di Trump prevede un dazio universale del 10% su tutte le importazioni verso gli Stati Uniti, con tariffe ancora più elevate per determinati paesi: il 34% sulle importazioni dalla Cina, il 20% sull’Unione Europea, il 24% sul Giappone e il 10% sul Regno Unito, secondo il Financial Times.
Queste misure entreranno in vigore il 5 aprile 2025.
A oggi, Apple produce circa il 90% dei suoi iPhone in Cina, dove Foxconn e Pegatron assemblano milioni di unità ogni mese. Anche se negli ultimi anni l’azienda ha provato a diversificare, aprendo stabilimenti in India e Vietnam, la dipendenza dalla Cina è ancora troppo alta per considerare queste alternative già mature.
Il titolo Apple soffre: la Borsa reagisce subito
Il giorno dell’annuncio, AAPL ha chiuso in netto calo (-9,36%), trascinata anche dal sentiment negativo che ha colpito l’intero settore tech. Gli analisti di JP Morgan hanno subito abbassato il rating di breve periodo sul titolo, segnalando l’incertezza che le politiche protezionistiche potrebbero generare sulla redditività futura.
Secondo Bloomberg, un dazio del 10% sul valore di importazione degli iPhone potrebbe tradursi in un incremento di prezzo per il consumatore finale di circa 100 dollari, a meno che Apple non assorba internamente parte dei costi, riducendo i propri margini. Una mossa difficile da sostenere sul lungo periodo, specie in un contesto economico instabile.
Cosa succede al mercato USA: più cari, meno venduti?
Gli Stati Uniti restano il mercato principale per Apple in termini di profitti. Ma anche il più sensibile ai cambi di prezzo. Un incremento dei costi potrebbe generare un rallentamento nelle vendite, soprattutto nei modelli di fascia alta, spingendo i consumatori verso alternative più economiche o verso l’allungamento del ciclo di sostituzione.
Nel 2023 il ciclo medio di upgrade di un iPhone è salito a più di 4 anni, secondo un report di CIRP. In un contesto in cui i prezzi salgono, questo trend potrebbe rafforzarsi, incidendo sui volumi di vendita.
E in Europa? Possibili contromosse e ritorsioni
Il rischio maggiore per Apple non viene solo dai dazi USA sulle importazioni, ma anche da eventuali ritorsioni europee. L’Unione Europea ha già espresso una ferma opposizione alle nuove misure statunitensi e, come riporta l’ANSA, la presidente Von der Leyen ha lasciato intendere che una risposta è in preparazione.
Se l’UE decidesse di rispondere con misure simmetriche, Apple potrebbe trovarsi in difficoltà anche nel secondo mercato più importante al mondo. I prodotti Apple venduti in Europa arrivano dagli stessi hub asiatici che servono gli USA, e sarebbero quindi colpiti due volte: in entrata e in uscita.
Secondo alcuni analisti, le vendite europee potrebbero subire un calo del 7-10% nel giro di un anno se l’UE adottasse una politica di dazi speculari. Oltre all’effetto diretto sui prezzi, c’è anche un aspetto reputazionale: l’idea che Apple sia parte attiva (o passiva) di uno scontro politico-commerciale non è un buon biglietto da visita per un marchio premium.
Le mosse di Apple: diversificare (sul serio?)
Tim Cook ha più volte dichiarato l’intenzione di ridurre la dipendenza produttiva dalla Cina. Negli ultimi due anni Apple ha spostato una quota crescente della produzione in India e ha rafforzato la logistica in Vietnam. Ma si tratta ancora di una fase embrionale.
Nel breve termine, Apple ha poche opzioni. Assorbire i costi significherebbe comprimere i margini, mentre trasferirli al consumatore rischia di rallentare la domanda. Potrebbe spingere più modelli ricondizionati, o incentivare i servizi digitali (Apple One, iCloud, Apple TV+) per compensare il calo di vendite hardware. Ma la transizione è complessa.
Conclusione: un’ombra lunga su Cupertino
Le nuove tariffe imposte dall’amministrazione Trump rappresentano una sfida significativa per Apple, con potenziali ripercussioni sui prezzi, sulla domanda e sulla strategia produttiva. L’azienda dovrà valutare attentamente le proprie mosse per mantenere la competitività nei mercati chiave e proteggere i propri margini di profitto.
Come si muoverà Apple nei prossimi mesi? Molto dipenderà da come evolverà il contesto politico, ma una cosa è certa: l’era dell’ottimizzazione pura è finita. Inizia quella della sopravvivenza strategica.
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