Immaginate di pagare 500 dollari in più per il tuo prossimo iPhone. Questo scenario potrebbe diventare realtà nei prossimi mesi, mentre l’amministrazione Trump intensifica la sua politica commerciale contro la Cina con dazi che hanno raggiunto la cifra record del 104% sui prodotti importati. Dietro questa mossa c’è un’idea tanto semplice quanto controversa: costringere Apple a spostare la produzione negli Stati Uniti.

Se Apple non pensasse che gli Stati Uniti possano farcela, probabilmente non avrebbero investito quella grande somma di denaro“, ha dichiarato Karoline Leavitt, portavoce della Casa Bianca, riferendosi al recente piano di investimenti da 500 miliardi di dollari annunciato dall’azienda di Cupertino. Ma gli esperti del settore e la stessa storia di Apple raccontano una realtà ben diversa.

Secondo un’analisi pubblicata recentemente da CNN, i nuovi dazi potrebbero tradursi in un aumento dei prezzi al consumo tra il 20% e il 45% sui prodotti Apple, con un impatto particolarmente grave sugli iPhone, il prodotto di punta dell’azienda.

La posizione di Trump riflette una visione semplificata di dinamiche industriali estremamente complesse. Steve Jobs, fondatore di Apple, spiegò già nel 2010 all’allora presidente Obama perché la produzione americana fosse impraticabile. Durante una cena alla Silicon Valley, Jobs fu diretto: “Quei posti di lavoro non torneranno più“. Il motivo non riguardava solo i costi, ma un intero ecosistema manifatturiero che gli Stati Uniti hanno perso decenni fa.

Tim Cook, attuale CEO di Apple, ha ribadito questo concetto in diverse occasioni pubbliche. In un intervento del 2017 presso il Fortune Global Forum, Cook spiegò che “la Cina ha smesso di essere un paese a basso costo di manodopera molti anni fa” e che la vera ragione per produrre lì è “la competenza, la quantità di competenze in un unico luogo, e il tipo di competenze“.

La realtà che emerge da queste dichiarazioni è che la manifattura elettronica moderna non è più solo una questione di catene di montaggio e manodopera economica, ma un complesso ecosistema che integra ricerca, sviluppo, ingegneria di precisione e logistica avanzata. Un sistema che si è sviluppato in Asia nel corso di decenni di investimenti strategici e che non può essere replicato dall’oggi al domani nemmeno con i più generosi incentivi fiscali.

Nel contesto delle crescenti tensioni commerciali tra USA e Cina, la produzione degli iPhone è diventata un simbolo delle complesse interdipendenze dell’economia globale moderna. Mentre i politici promettono soluzioni semplici, le aziende come Apple devono navigare un panorama ben più complesso fatto di catene di approvvigionamento globali, competenze distribuite geograficamente e pressioni competitive intense.

I costi reali della produzione americana

Un iPhone prodotto interamente negli Stati Uniti potrebbe arrivare a costare fino a 3.500 dollari, quasi il triplo del prezzo attuale. Questa stima, fornita da Dan Ives, analista di Wedbush Securities alla CNN, considera i costi aggiuntivi necessari per replicare l’intero ecosistema produttivo attualmente esistente in Asia.

Il costo della manodopera, della logistica e delle materie prime renderebbe il prezzo di un iPhone “Made in USA” insostenibile, potenzialmente il doppio rispetto ad oggi. Secondo le analisi di mercato, Rosenblatt Securities prevede che un aumento dei prezzi sia lo scenario più probabile, con incrementi fino al 43%.

Anche Counterpoint Research stima aumenti medi di almeno il 30%, mentre Morgan Stanley prevede un impatto più contenuto, tra il 17% e il 18%. In termini concreti, l’iPhone 16 base, oggi in vendita negli USA a 799 dollari, potrebbe arrivare a 1.142 dollari, mentre il modello iPhone 16 Pro Max con display da 6,9 pollici e 1 terabyte di memoria passerebbe da 1.599 a quasi 2.300 dollari.

La notizia ha avuto un impatto immediato sulla borsa: giovedì le azioni Apple hanno registrato un calo del 9,3%, il peggiore dal marzo 2020. Barton Crockett, analista di Rosenblatt Securities, ha espresso sorpresa per la situazione: “Tutta questa vicenda dei dazi sta andando in una direzione completamente opposta rispetto alle nostre aspettative. Pensavamo che un’icona americana come Apple sarebbe stata trattata con maggiore riguardo, come avvenne nel primo mandato“.

Gli ostacoli tecnici alla produzione americana

La catena di approvvigionamento di Apple coinvolge oltre 50 paesi, come mostra il documento ufficiale fornitori Apple di 27 pagine, senza contare le terre rare fondamentali per componenti avanzati, che provengono da altri 79 paesi e non possono essere estratte negli Stati Uniti.

Il problema più grande, però, non è la logistica ma le competenze. Secondo Tim Cook stesso, negli USA “non si riuscirebbe a riempire una stanza di ingegneri per la micro-meccanica degli strumenti di precisione“. In Cina, ha detto, “potresti riempire interi stadi“.

Jobs aveva chiarito che Apple necessitava di 30.000 ingegneri per supportare i 700.000 operai nelle fabbriche cinesi, un numero di persone qualificate impossibile da trovare negli Stati Uniti.

È proprio questa mancanza di un ecosistema completo che rende l’idea di Trump poco realistica nel breve termine. Di fatto, pensare a un iPhone interamente “Made in USA” è, per ora, più un esercizio di propaganda che un piano industriale serio.

Le strategie alternative di Apple

Di fronte a questa nuova sfida, Apple non è rimasta immobile. Negli ultimi anni, l’azienda ha già iniziato a diversificare la sua produzione per ridurre la dipendenza dalla Cina. Apple ha effettivamente avviato una diversificazione produttiva negli ultimi anni, puntando su India e Vietnam. Ma la capacità produttiva di questi paesi non è paragonabile a quella cinese, almeno non nel breve periodo.

A breve termine, la strategia di Apple sembra essere quella di sfruttare le scorte accumulate per evitare aumenti immediati, importare quanto più possibile dall’India, e guadagnare tempo, nella speranza che lo scenario politico o commerciale cambi. L’azienda ha infatti accumulato scorte importando da India e Cina tantissimi iPhone prima della scadenza dei dazi.

Un caso di studio: il precedente del Mac Pro

Apple ha già sperimentato in passato la produzione negli Stati Uniti, con risultati non particolarmente incoraggianti. L’unico tentativo di Apple di produrre negli USA – il Mac Pro assemblato in Texas – si è rivelato un fallimento logistico e industriale.

Questo precedente evidenzia le difficoltà concrete che Apple incontrerebbe nel tentativo di spostare la produzione di un dispositivo ben più complesso e prodotto in volumi enormemente superiori come l’iPhone. Il Mac Pro è un prodotto di nicchia, con volumi di vendita limitati e margini più alti, eppure anche in quel caso l’esperimento non ha dato i risultati sperati.

L’impatto sui consumatori e sul mercato

I consumatori americani hanno già iniziato a reagire alla prospettiva di prezzi più alti. Tantissimi utenti negli USA si stanno recando in massa negli Apple Store per acquistare iPhone e altri prodotti prima che entrino in vigore i dazi e, di conseguenza, i nuovi prezzi.

Con l’entrata in vigore della tariffa totale del 104% sulle importazioni dalla Cina, ogni iPhone, iPad, Mac o accessorio prodotto nel paese asiatico costerebbe ad Apple il doppio per essere importato negli USA. L’impatto immediato è che il titolo Apple ha perso quasi il 20% in pochi giorni.

Sebbene i nuovi dazi siano destinati esclusivamente alle importazioni negli Stati Uniti, l’impatto potrebbe non fermarsi ai confini americani. Apple potrebbe scegliere di uniformare in parte i prezzi a livello globale per bilanciare la perdita di margini nel proprio mercato principale.

In uno scenario simile, anche in Europa i listini potrebbero subire ritocchi verso l’alto. In Italia, dove il prezzo degli iPhone è già più alto rispetto agli USA a causa di IVA e tassazione, un aumento su scala globale porterebbe facilmente i modelli di fascia alta a superare i 2.000 euro.

Le tempistiche di un’ipotetica transizione

Se Apple decidesse davvero di tentare lo spostamento della produzione negli Stati Uniti, i tempi necessari sarebbero estremamente lunghi. Secondo gli esperti del settore, si parlerebbe di almeno 5-7 anni per sviluppare le infrastrutture, formare il personale e creare l’ecosistema necessario.

E anche dopo questo periodo, i costi rimarrebbero significativamente più alti. Dan Ives di Wedbush Securities ha spiegato a CNN che l’opzione di riportare la produzione negli Stati Uniti, come auspicato da Trump, si scontra con ostacoli praticamente insormontabili.

Le conseguenze sul panorama competitivo

La situazione potrebbe anche alterare gli equilibri competitivi nel mercato degli smartphone. Intanto, la situazione apre nuovi spazi competitivi per Samsung. L’azienda sudcoreana, che produce molto in Vietnam (colpita da un dazio del 46%, di poco inferiore a quello della Cina) ma mantiene ancora una percentuale della sua produzione in Corea del Sud – un Paese soggetto a dazi inferiori – potrebbe beneficiare di un leggero vantaggio, soprattutto nel mercato statunitense e in quelli dove il prezzo è un fattore determinante.

A essere penalizzato sarebbe soprattutto il pubblico che guarda ai nuovi dispositivi Apple come strumento di accesso alle funzionalità basate sull’intelligenza artificiale, sempre più centrali nella strategia della società californiana per il 2025.

FAQ: Domande frequenti sulla produzione di iPhone negli USA

Quanto costerebbe realmente un iPhone prodotto interamente negli USA?

Le stime variano tra un aumento del 30% fino a un prezzo triplo dell’attuale. Un iPhone Pro Max potrebbe arrivare a costare tra 2.300 e 3.500 dollari.

Perché Apple non può semplicemente spostare la produzione negli Stati Uniti?

La mancanza di competenze tecniche specializzate, l’assenza di un ecosistema di fornitori, e i costi nettamente superiori rendono questa transizione estremamente difficile nel breve-medio termine.

Quali paesi potrebbero beneficiare di questa situazione?

Paesi come India, Vietnam e Malesia, dove Apple ha già iniziato a diversificare la produzione, potrebbero vedere un’accelerazione di questo processo. Samsung potrebbe guadagnare quote di mercato grazie alla sua produzione più diversificata geograficamente.

I dazi colpiranno solo gli Stati Uniti o anche altri mercati?

Sebbene i dazi colpiscano direttamente solo le importazioni negli USA, è probabile che Apple uniformi almeno in parte i prezzi a livello globale, con aumenti anche in Europa e altri mercati.

Quanto tempo ci vorrebbe per creare una filiera produttiva di iPhone negli USA?

Secondo gli esperti, ci vorrebbero almeno 5-7 anni per sviluppare le infrastrutture necessarie e le competenze, e anche dopo questo periodo i costi rimarrebbero significativamente più alti rispetto alla produzione in Asia.

Conclusioni

La questione della produzione di iPhone negli Stati Uniti è emblematica delle tensioni e contraddizioni dell’economia globalizzata. Da un lato, c’è la spinta politica verso la rinascita manifatturiera americana e la riduzione della dipendenza strategica dalla Cina. Dall’altro, ci sono realtà industriali consolidate in decenni di specializzazione e investimenti che non possono essere smantellate o replicate rapidamente.

Trump punta a una retorica “nazionalista” nella produzione tecnologica, ma ignora le complessità del mondo Apple, che non si limita a “avvitare viti”. La manifattura di un iPhone è un processo sofisticato che coinvolge decine di fasi, materiali speciali e competenze uniche che oggi non esistono su larga scala negli Stati Uniti.

Il paradosso è che misure pensate per riportare la produzione in America potrebbero avere l’effetto opposto: rendere i prodotti meno accessibili ai consumatori americani, indebolire la posizione competitiva delle aziende USA e accelerare la ricerca di alternative in paesi terzi che non siano né la Cina né gli Stati Uniti.

Nel frattempo, i consumatori si preparano a pagare il prezzo di questa guerra commerciale, con aumenti significativi che potrebbero cambiare radicalmente il mercato degli smartphone premium come lo conosciamo oggi.

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1 Comment

  1. Se questo generasser stipendi più alti in America, immagino che loro sarebbero ben contenti..
    Nessuno vuole spendere di più ma tutti vogliono stipendi più alti..

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