È proprio vera la legge che vuole molta semplicità quando si devono ricevere soldi, ma molta difficoltà quando bisogna darli. Le banche australiane, per esempio, non vogliono pagare i servizi di Apple, o meglio, vogliono pagarli di meno.
Apple sta tentando di diffondere il servizio di pagamenti elettronici Apple Pay in giro per il mondo. Per farlo, visto che è un business che si regge sulle commissioni, la società vorrebbe lo 0,15% delle commissioni incassate delle banche su ogni transazione elettronica.
Negli Stati Uniti le commissioni sono dell’1%. Quindi la fetta viene divisa con lo 0,85% alle banche e lo 0,15% ad Apple. In Australia, dove le commissioni sono dello 0,5%, le banche non trovano giusto cedere lo 0,15% ad Apple. Vorrebbero una riduzione in proporzione alle commissioni pagate negli USA.
Questo è l’ostacolo che al momento rallenta l’adozione di Apple Pay in Australia. Una nazione dove, tra l’altro, le banche stanno anche provando a creare un sistema di pagamenti elettronici alternativo ad Apple Pay.
E in Europa? Secondo il regolamento 2015/751, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione il 19 maggio, il prossimo 9 dicembre le commissioni per i pagamenti elettronici avranno un tetto massimo dello 0,3%. Se Apple vorrà lo 0,15%, vale a dire la metà, questo si trasformerà in un enorme problema. Le banche difficilmente accetteranno di fare a metà.
Si prospettano tempi duri per Cupertino, in cui ne pagheranno le conseguenze gli utenti con le lentezze nell’adozione di Apple Pay.
Apple farebbe bene a rinunciare a questo business.
Ma era ovvio fin dall’inizio che in Europa e sopratutto in Italia, dove ancora la stragrande maggioranza degli esercenti non accetta le carte di credito ma solo il bancomat, per le assurde ed improponibili commissioni, un sistema di pagamento così oneroso è fuori discussione. In USA, patria della moneta elettronica è altro discorso.