Apple tasse

In un periodo storico dove chi controlla le informazioni scrive la storia, ha più potere una grande società quotata in Borsa o una testata giornalistica? Il dibattito potrebbe iniziare adesso e finire il prossimo anno, ma intanto vi pongo un esempio concreto di ciò che sta accadendo in questo momento.

Apple ha utilizzato negli anni, e continua ad utilizzare, il sistema delle indiscrezioni controllate. Sono informazioni concesse alla stampa per far circolare informazioni sui suoi prodotti e creare hype. È un metodo abbastanza efficace e c’è chi affiderebbe l’anima al diavolo pur di essere nella brevissima lista di testate che Apple usa per questi propositi.

Fino a qualche tempo fa il New York Times è stato su quella lista mediante alcuni giornalisti eccellenti, come David Pogue. Ma a un certo punto la società ha depennato la testata dalla sua lista. Tutta colpa del tentativo della giornale di disfarsi del sistema In App Subscriptions e non versare le commissioni del 30% sugli abbonamenti venduti attraverso l’App Store.

Una decisione poco gradita a Steve Jobs che si arrabbiò perdendo fiducia nel famoso giornale. Di contro, però, il New York Times sta attivando una serie di inchieste per appannare l’immagine di Apple. Abbiamo assistito a tutta la campagna per il caso Foxconn, che ha portato alla scoperta di ore di straordinario non pagato, così come dichiarato dalla FLA, l’organo indipendente per le indagini sulle condizioni di lavoro dei dipendenti.

Il secondo colpo di cannone ora è rappresentato dalle indagini sulle tasse pagate da Apple. Secondo i dati fiscali, infatti, Apple ha pagato 3,3 miliardi di dollari lo scorso anno contro i 34,2 miliardi di dollari di utili, vale a dire che ha avuto un imposizione fiscale del 9,8%. Il dato è stato comparato a quello registrato per i supermercati Wal Mart che hanno pagato 5,9 miliardi di dollari su 24,4 miliardi di utili, vale a dire un’imposizione fiscale del 24%.

Tutto questo è traducibile con un evasione fiscale? Assolutamente no: Apple ha un ufficio preposto per la gestione delle tasse che analizza costantemente la legislazione dei diversi Stati per trovare quella più favorevole. Per fare un esempio in Europa la società utilizza Irlanda e Lussemburgo per fatturare i suoi prodotti e usufruire di imposizioni fiscali favorevoli.

Lo scopo del New York Times sembrerebbe quello di far credere al lettore che Apple sia una delle società furbastre dedite all’utilizzo dei paradisi fiscali, quando in realtà ha solo un’amministrazione virtuosa del suo pacchetto di investimenti. La società, contro questo attacco, ha già replicato ricordando al New York Times che il suo ecosistema di prodotti e servizi ha creato oltre 47.000 posti di lavoro a tempo indeterminato in via diretta e 500.000 posizioni lavorative in via indiretta, oltre alla nascita di startup e piani di donazioni.

Ora tra le due cosa accadrà, si cercherà il modo per sotterrare l’ascia di guerra o si continuerà nella direzione delle inchieste di vapore?

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10 Comments

  1. Altri punti:

    – Intervista in esclusiva su Mountain Lion al WSJ (concorrente diretto del NYT)
    – Notizia su Path che si scarica la rubrica degli apparecchi iOS data dal NYT
    – Notizia su Google che tramite “bug” degli iFrame riesce a tracciare gli utenti di Safari, data dal WSJ

    Diciamo che le due parti in gioco sono Murdoch (WSJ) & Apple vs NYT & Google.

    Tra l’altro io credo che la “guerra” sia partita prima di tutto per le accuse verso Apple su Foxconn…

  2. Ammiro il NYT che fa semplicemente il suo lavoro, per il quale viene pagato dai suoi lettori: fare le inchieste e pubblicare le notizie, come dovrebbero fare tutti i giornali.
    Apple, se potesse censurerebbe anche le notizie che non le piacciono, pur di apparire sempre perfettina. Peggio della Cina

    1. Google & Android che fanno credere di tutto ai loro utenti come Microsoft e Windows ai loro tempi, sono meglio?
      Tra le cose che fanno credere,ad esempio, la frottola migliore,secondo me, è quella secondo cui i fermacarte migliori sono gli smartphone Android 18 mesi dopo il loro acquisto.
      Carino, da parte loro, vero?

      E’ un’ironia, nel caso non si fosse capito….

    2. La cosa è leggermente più complessa: tutti i giornali fanno inchieste, ma alcune vengono tenute in disparte ed altre lanciate in prima pagina, a seconda degli interessi da difendere o colpire.

      In questo caso, come ho fatto notare, il NYT ha interesse a continuare a colpire Apple, tacendo invece su altri, tipo Google. 😉

  3. kiro, generalmente mi piacciono gli articoli che scrivi… ma qui non ci siamo proprio!!!

    il NYT ha fatto una inchiesta molto importante, e noi italiani più di tutti dovremmo essere arrabbiati con i furetti che trovano tutti i modi per non pagare le tasse.

    a me non importa niente del motivo per cui il giornale abbia fatto questa inchiesta!!!

    quello che mi importa e’ che l’apple paga meno del 10 % di tasse quando in media le imprese americane pagano il 25 %.

    non mi importa che sia legale. questi magheggi di ingegneria fiscale vanno deplorati.

    dal tuo articolo sembrava quasi che ti complimentassi con l’Apple per aver i conti alle Cayman o chissa’ dove.

    anche io sono un fan sfegatato dell’Apple, ma qui non c’e’ niente di cui essere felici.

    1. Apple non ha conti alle Cayman. Le imposizioni fiscali favorevoli sono legali. Allora dovremmo prendercela con le borse di studio, le esenzioni per i disoccupati, l’esenzione del ticket e tutto il resto. Anche quelle sono agevolazioni che permettono di pagare meno tasse.

    2. La questione è un’altra: perché il NYT tira fuori Apple, invece di far notare che questa pratica fiscale è utilizzata da tutte le grandi multinazionali USA?

      Idem per Foxcomm: il NYT a dare contro ad Apple (che è l’unica che almeno ha dimostrato un po’ di buona volontà) ignorando completamente concorrenti come Samsung, Dell, HP, ecc. ecc.

      Guardate oltre la notizia ogni tanto… 😉

  4. ti prendo solo un piccolo estratto da un articolo del sole 24 ore:

    Apple ha 36 anni di storia: è stata tra le prime a sperimentare tecniche per ottenere vantaggi fiscali oltre i confini degli Usa. Come il “Double Irish”: trasferisce le royalties sui brevetti dagli Stati Uniti a una filiale con sede in Irlanda, dove l’aliquota è al 12,5% rispetto alla soglia massima del 35% stabilita del governo federale di Washington. Poi, attraverso un’altra società a Dublino può trasferire parte dei profitti anche in paradisi fiscali: è il “doppio irlandese”, adoperato da molte aziende.

    non ti dico che non si possa fare, o che non sia legale.
    dico che il fatto che sia riuscita a pagare il 15 % in meno di tasse rispetto alla media delle aziende americane non e’ figo!

    non si tratta di riduzione costi o altre cose virtuose del genere, si tratta di non pagare le tasse dove dovresti pagarle, per il semplice fatto che certe cose non fisiche (come i brevetti, la musica digitale e le app) sono facilmente delocalizzabili.

    perche’ non ammetti che anche l’Apple può essere paracula?

    1. Qui non si tratta di essere paraculi, ma amministrare al meglio una società. E credimi il 100% di tutte le società del mondo vorrebbero avere una gestione così ottimizzata nella gestione delle tasse.

    2. Ma scusa, tu quando fai il 740 cerchi di pagare più tasse possibili o trovi tutto ciò che si possa LEGALMENTE dedurre da esse?

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