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Secondo voci di corridoio, Apple starebbe studiando il modo per spostare la produzione degli iPhone dalla Cina agli Stati Uniti. Secondo me, invece, la società ha semplicemente realizzato un report per calcolare la fattibilità del progetto qualora il governo Trump la obblighi, come promesso in campagna elettorale, ad abbandonare la Cina.

Non ha senso impelagarsi in uno spostamento di produzione, con i relativi problemi di costruzione delle fabbriche e della formazione del personale, se la cosa non è obbligatoria. Si rischierebbe solo di rallentare i tempi di consegna dei prodotti.

La società in realtà assembla già negli Stati Uniti e ci riferiamo ai Mac Pro. Questi computer sono assemblati da Flex che impegna 2.000 dipendenti pagandoli 11 $ all’ora, che si traducono con circa 30.000 $ annui. Se le stesse condizioni fossero applicate all’iPhone, secondo gli esperti, il telefono costerebbe 100 $ in più, gonfiando un prezzo già alto.

Apple, dal suo canto, dichiara di dare già lavoro a 80.000 americani in via diretta. Inoltre l’indotto generato dalle 69 fabbriche americane che costruiscono componenti per i suoi prodotti, in aggiunta agli sviluppatori di applicazioni, generano altri 2 milioni di posti di lavoro.

A tal proposito il New York Times ha realizzato un report nel campus di Apple in Texas. Il secondo campus più grande dopo quello di Cupertino. Qui trovano lavoro 6.000 persone. Sette anni fa erano 2.100. Qui i dipendenti si occupano soprattutto di assistenza tecnica.

Ogni giorno vengono gestite 8.000 richieste telefoniche di aiuto. Nel campus si offre il supporto in 12 lingue diverse, pagando i dipendenti 14,5 $ l’ora. Aggiungendo i benefit e gli scatti di carriera si può arrivare anche a 70.000 $ l’anno.

La società offre anche una mensa, una caffetteria e una clinica medica, dove si curano i dipendenti anche con l’agopuntura, oltre a fornire un servizio odontoiatrico. Qui, dicono i dipendenti, si fabbricano persone.

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