Ho avuto la fortuna di vivere la mia infanzia negli anni ‘80. È stato favoloso. I 2000, o generazione Z, non potranno mai capire. Vivere in un contesto con zero tablet, zero smartphone, un po’ di TV, tanti fumetti e libri mi ha spinto sicuramente a sviluppare la fantasia.
Facciamo un esperimento. Chiudiamoci in casa senza internet, senza smartphone, tablet e assistenti virtuali. Non ci annoiamo subito a morte? Cosa facciamo?
Questo non significa che i tablet, smartphone e internet siano il male. Anzi. Portano a numerosi vantaggi: tra tutti recuperare informazioni in pochi secondi o accedere ai documenti ovunque. Operazione che prima richiedeva molto tempo. Non potete immaginare come si arrabbiavano i miei compagni di classe quando effettuavo le ricerche su Encarta di Microsoft. Una sorta di Wikipedia su CD Rom.
Quindi ho vissuto il passaggio dall’analogico al digitale per gradi. Prima il modem da 36,6 kbps, poi il floppy disk di Italia On Line, poi Netscape Navigator (pensate si pagava un abbonamento per l’uso del browser), gli abbonamenti di 30 minuti degli operatori telefonici, le connessioni flat, l’ADSL, le connessioni WAP, EDGE, 3G, 4G, il cellulare collegato al computer con il cavo per navigare, il Nokia 7610, EMule per scaricare la musica, Gino il Pollo, barzellette.it, cellulari.it, il mio sito su studenti.it, poi su WordPress, partecipa ai Barcamp, la blogosfera, uh è uscito l’iPhone, compra l’iPhone 3G, 4, 4s, 5, 5s, 6, 7s, X, Xr e così via.
Insomma un’evoluzione che è durata praticamente 20 anni. Quanto basta per capire cosa c’era prima, cosa c’era in mezzo, cosa c’è adesso e anche un po’ cosa ci sarà domani. Tutto questo è servito ad immunizzarmi. Per quanto mi piaccia stare su internet so benissimo quali siano i pericoli, dove non si deve abusare, da cosa tenermi lontano e cosa coltivare.
Un esempio? Mi piace Instagram, ma ci passo meno di mezz’ora al giorno. Mi annoio a vedere tutte quelle foto o storie per ore. Stessa cosa Facebook: lo uso per condividere meme e stupidaggini. Non racconto mai cosa faccio durante la giornata. Sono cose mie.
Quindi arriviamo a The Social Dilemma: un interessante documentario che tanto sta facendo parlare in queste settimane e che trovate su Netflix.
Diretto da Jeff Orlowki, il documentario racconta i pericoli dei social network e la stortura che stanno generando nella nostra società. Fenomeni come fake news, gruppi estremisti, complotti che circolano facilmente e senza controllo, isterie di massa e pressappochismo.
Pur di fare soldi i social network raccolgono e vendono dati senza conseguenze per se stessi, ma di sicuro per la società. Lascia molto pensare come il sistema delle bolle sociali, o echo chamber, spingono le persone a convincersi delle cose di cui sono già convinte perché gli algoritmi suggeriscono loro contenuti più affini.
Così anziché sviluppare un pensiero critico e aprire la mente a cose nuove, chi è convinto di aver ragione, come i terrapiattisti, ricevono altre fake news sul fenomeno convincendoli di aver sempre ragione.
Emblematico è il pizzagate, di cui avrete sentito parlare. Nel 2016 viene hackerato l’account di posta elettronica di John Podesta, responsabile della campagna di Hillary Clinton. Le email vengono pubblicate su WikiLeaks. Qualche coglione interpretò parte del testo ricamando una stramba teoria complottistica che indicava il ristorante Comet Ping Pong.
In questo ristorante, secondo il complotto, c’era un seminterrato dove venivano dissanguati dei bambini ottenuti con un giro di pedofilia. Il sangue sarebbe servito ad Hillary Clinton e altre persone per mantenersi giovani.
Questa bugia strampalata circolò così tanto sui siti da spingere un uomo, il 5 dicembre del 2016, ad entrare nel locale con un fucile e fare fuoco per salvare i bambini nel seminterrato. C’era un unico problema: il ristorante non aveva mai avuto un seminterrato.
Fenomeni del genere sono purtroppo all’ordine del giorno perché, anche se internet ha fatto circolare il sapere e lo ha reso gratuito per tutti, ha anche dato voce a molti idioti. Persone che prima sfogavano la loro scarsa e bieca visione del mondo nei bar, strappando al massimo qualche risata.
Ora invece abbiamo i no-vax, i terrapiattisti, i QAnon, i no-mask, chi crede che Bill Gates abbia un vaccino che ci renda robot o ci faccia esplodere alzando la temperatura corporea, chi crede che Michael Jackson sia vivo insieme ad Elvis. Chi cura i tumori con bicarbonato e limone. Chi se la prende con le antenne 5G e così via.
Una moltitudine di idioti che trovano nella democratica internet uno strumento per diffondere la prima stupidaggine partorita dal loro cervello. Senza dati, confronto, analisi, metodo scientifico. Chi crede nell’oroscopo ma non ai referti medici. Chi non crede agli scienziati, ma al primo che capita che si auto proclama esperto.
The Social Dilemma racconta questo e pone l’invito a fare delle riflessioni. Tra tutte la necessità che i legislatori prendano in mano la situazione e regolamentino la circolazione di fake news e il proliferare di gruppi estremisti o complottistici.
Consiglio la visione a tutti e se volete dire la vostra a tal proposito trovate una capiente sezione commenti in basso.
Avendo avuto la stessa esperienza di approccio e crescita con gli strumenti tecnologici e la loro evoluzione degli ultimi 20 anni, il mio pensiero è esattamente il linea con le tue riflessioni.
Purtroppo “l’internet” fa veramente male ai poveri (di pensiero), l’effetto Dunning Kruger lo si può vedere in questo ma anche in altri constesti.
Aggiungo poi che la memoria sembra essere sempre più corta e la fermezza mentale sembra sparire così facilmente per lasciar spazio ad un nuovo credo.
Mi chiedo se i negazionisti di adesso siano gli “esperti” dell’olio di palma di un tempo.
Comunque non mi resta che guardare la serie, grazie per il consiglio.
Caro Ciro, ti leggo da sempre e sono molto contento di questa tua riflessione. Ho più o meno la tua stessa età e credo che però, a parte la legislazione mancante, tu abbia mancato una denuncia molto importante del documentario: si sta abbassando sempre di più l’età dei giovani utilizzatori di social che non hanno la maturità per difendersi dal male che gira costantemente sui social (vedasi il cyberbullismo). Il problema non è il nostro direttamente (anche se sto cancellando di Santa pazienza la mia storia su FB dal 2008) ma dei nostri figli. I miei hanno due e cinque anni e tremo a quando avranno il loro device personale. Adoro la tecnologia, sono un nerd convinto, la insegno e uso un insegno etico di questa, ma per i più piccoli siamo in pericolo. Fino al liceo siamo in una guerra con queste aziende ma al momento perdiamo battaglie su battaglie. Ho molta sfiducia che i legislatori cureranno questo aspetto: anche fumare è vietato ai minori ma si trovano sempre ragazzi di 13 anni che fumano. Serve una educazione efficace affinché i genitori si responsabilizzino e riuscissimo tutti insieme ad insegnare un uso critico della tecnologia.
Sono d’accordo con te Shaice. Per me dovrebbero insegnare il corretto uso delle tecnologie come smartphone e social network nelle scuole, per tutte le scuole medie. Purtroppo non c’è una vera percezione del pericolo.