L’andamento di entrate e uscite di un’app a pagamento. Fonte Ulysses
L’andamento di entrate e uscite di un’app a pagamento. Fonte Ulysses

È sotto gli occhi di tutti negli ultimi anni: le app stanno migrando verso un business model ad abbonamento. Dietro tutto questo c’è ovviamente la regia di Apple. Ma perché questo avviene?

Sempre più spesso vediamo app, anche famose, annunciare il cambio di paradigma. Così se prima basta pagare una quota di acquisto dell’app, ci si trova improvvisamente a spendere 10 volte tanto durante un anno.

A tal proposito affrontiamo alcuni aspetti prendendo le informazioni condivise da due app famose, passate a un piano in abbonamento: Ulysses e Pixelmator Photo.

Come si comprava il software prima di internet

Chi ha qualche anno in più sa come veniva comprato il software prima della diffusione di internet. Basti vedere come si compravano gli aggiornamenti di macOS (o OS X come veniva chiamato all’epoca) nei primi anni 2000.

Bisognava ordinare la propria copia, pagarla e attendere che arrivasse a casa. Un aggiornamento costava 129 $. Arrivava a casa un pacchetto con alcuni DVD contenenti il nuovo sistema operativo. Negli anni, con la diffusione di internet, gli aggiornamenti si compravano online e costavano 29 $1. OS X 10.8 fu l’ultimo a pagamento.

Snow Leopard 28 agosto1

Far pagare una nuova versione di un software era il modello di business di base. Non c’erano aggiornamenti intermedi o di sicurezza. Un team lavorava su una grande versione, la vendeva l’anno successivo e con quel denaro si finanziava il nuovo anno di sviluppo. Un ciclo che ricorda quello del raccolto annuale in un campo di terra.

Come si comprava il software dal 2008 con l’App Store

Con l’avvento di internet le aziende trovarono molto più profittevole non spendere soldi in DVD, scatole e spedizioni, ma distribuire le app e gli aggiornamenti direttamente con la rete.

Un caso di enorme successo a tal proposito è sicuramente l’App Store. Il negozio di app di Apple ha avuto successo per numerosi motivi, tra cui l’avere un negozio unico per le app, chiedere agli sviluppatori di curare la scheda delle app e applicare delle fasce di prezzo predefinite.

In questo modo anzichè avere prezzi tutti diversi, gli utenti sono stati abituati a pagare 0,99 €, 2,99 €, 3,99 € e così via. Questa sorta di appiattimento dei prezzi ha aiutato gli sviluppatori a monetizzare facilmente lo sviluppo, approfittando anche dei grandi numeri nell’App Store, e ha sviluppato tra gli utenti la cultura non banale che vuole che le app per smartphone si debbano pagare.

Ora, passare da un modello che vede grossi aggiornamenti annuali a pagamento a uno in cui si paga solo all’inizio ha portato a qualche svantaggio.

Se nei primi anni il tutto era sostenibile perché nell’App Store arrivavano milioni di persone ogni anno, quindi milioni di nuovi clienti, avvicinandosi verso la saturazione e la fine di questa crescita, gli sviluppatori hanno visto calare le loro entrate a fronte di costi di sviluppo in crescita.

Ad ogni aggiornamento nelle app si vede un picco di vendite, ma la curva cala nel tempo
Ad ogni aggiornamento nelle app si vede un picco di vendite, ma la curva cala nel tempo

A fronte di team in crescita, costi di sviluppo in aumento, le entrate nel lungo periodo non coprono le uscite portando i progetti su un binario morto inesorabilmente. Come evitarlo?

Servirebbero gli aggiornamenti a pagamento

Apple si è sempre opposta agli aggiornamenti a pagamento. Per un certo periodo la società suggerì di creare una nuova versione dell’app, tutta nuova, e farla pagare.

Tipo se Meteo (nome a caso) veniva venduta a 4,99 €, l’anno seguente bisognava creare Meteo 2 e venderla a 4,99 €. Se questo riprendeva il modello degli anni pre-internet, portava lo svantaggio di perdere la base di utenti a ogni aggiornamento.

Passando da Meteo a Meteo 2 gli utenti potevano decidere di non effettuare il passaggio e non pagare. Quindi la base di utenti non cresceva.

Così nacque il sistema in abbonamento, nonostante gli sviluppatori avessero chiesto semplicemente un sistema di aggiornamenti a pagamento nelle stesse app. La richiesta era avere l’update alla versione 2.0 nell’app Meteo da offrire a un prezzo inferiore ai 4,99 €, pur di non perdere la base di utenti.

Apple non lo ha mai accettato.

Gli svantaggi degli aggiornamenti a pagamento

Il team di Pixelmator ha analizzato tutti i vantaggi e svantaggi dei business model disponibili, riflettendo su quale applicare per evitare di finire su un binario morto. La soluzione è stato il sistema in abbonamento e spiega i motivi.

Un sistema di aggiornamenti a pagamento sono svantaggiosi per vari motivi:

  • Obbliga gli sviluppatori a concentrarsi solo su funzioni a effetto wow, per attrarre nuovi clienti, riducendo il tempo utilizzabile per migliorare il prodotto in generale.
  • Non si possono offrire aggiornamenti con lo sconto nell’App Store, quindi rischia anche di diventare un flop di vendite.
  • La gestione dei clienti non è democratica. Si tende a dimenticarsi dei vecchi clienti che ormai hanno già pagato, per concentrarsi solo sui nuovi clienti.
  • Non si può offrire un periodo di prova gratuito visto che l’app va pagata al download.
  • Si obbliga a pagare i singoli aggiornamenti per ogni piattaforma. Invece con un abbonamento si può creare un’app universale e abilitare l’abbonamento su tutti i propri dispositivi.

Un’app che ha provato questo approccio è stata Camera+ e sappiamo tutti come è andata.

Come Pixelmator ha gestito il passaggio di business model in modo corretto

Passare da un sistema ad acquisto singolo delle app a uno in abbonamento non è semplice come sembra. Mi viene subito in mente il caso di Airmail, un’app italiana per la gestione delle email.

abbonamento Airmail

L’azienda decise da un mese all’altro di far pagare l’abbonamento a tutti, offrendo un periodo di gratuità ai vecchi clienti. Quindi chi aveva già pagato l’app si ritrovata a pagare anche l’abbonamento, mentre i nuovi clienti avrebbero pagato solo l’abbonamento.

Credo che l’uso di Airmail sia crollato dopo quella scelta. Anche io lo usavo da tempo e l’abbandonai.

Il caso di Pixelmator è diverso:

  • La società ha dichiarato che chi ha comprato l’app in passato non dovrà pagare anche l’abbonamento. L’uso dell’app e gli aggiornamenti saranno gratuiti. L’abbonamento dovrà essere pagato solo dai nuovi clienti.
  • Ha offerto l’abbonamento “a vita”. Di certo questi ha un prezzo più alto dell’acquisto singolo, ma di sicuro sarà utile per chi usa molto l’app e vuole evitare di pagare ogni anno.
  • Chi sottoscrive l’abbonamento avrà l’app su tutte le piattaforme. I clienti attuali non avranno “anche” la versione per macOS quando sarà disponibile, ma potranno comprarla con uno sconto.

Quindi non è stato imposto a forza un nuovo modello di business, ma semplicemente i clienti storici sono stati premiati per la loro fedeltà con l’uso dell’app, mentre i nuovi clienti consentiranno di rendere il modello sostenibile nel tempo.

L’introduzione dell’abbonamento ha aggiunto anche un ulteriore vantaggio: l’app si scaricherà gratuitamente e consentirà l’uso gratuito per un periodo di tempo, per poi proporre l’abbonamento.

In questo modo le persone potranno farsi un’idea sulla vera utilità dell’app e decidere se pagare o cancellarla. Cosa che non si può fare con un’app che chiede di pagare una quota al download.

abbonamenti nelle app
Il sistema di abbonamento nelle app di iOS

Di certo il convergere generale verso un business model ad abbonamento costringerà le persone a usare solo le app che reputano realmente utili, cancellando quelle utilizzate una volta l’anno.

Non sarebbe male, però, rendere i prezzi degli abbonamenti più accessibili. Alcune app hanno prezzi decisamente troppo elevati per il servizio offerto, riducendo di molto la customer base potenziale.

Scelte fatte di proposito oppure no, ma che costringono molti di noi a fare a meno di app anche potenzialmente utili, ma di certo troppo costose per un consumo sporadico.


  1. OS X 10.6 Snow Leopard del 2009. Fonte Wired.

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